domenica 19 gennaio 2014

La cerimonia del matrimonio nella Antica Grecia





Nella Grecia antica, il matrimonio avveniva solo dopo l'istituzione fra il padre della sposa (o colui che ne aveva la potestà) e lo sposo di un contratto (εγγυησις), con il quale la sposa veniva promessa al suo futuro marito. Tuttavia tale contratto non stabiliva di per sé la convalida del matrimonio, poiché esso era considerato valido solo se, a seguito della consegna della promessa sposa al futuro sposo, i due davano inizio alla convivenza; qualora ciò non avvenisse, il matrimonio non sussisteva. Viceversa, se una coppia intraprendeva la convivenza senza aver prima istituito l'εγγυησις, l'unione era considerata illegittima. La continuata coabitazione dei coniugi era, nell'antica Grecia, l'elemento essenziale per stabilire la sussistenza di un matrimonio; qualora infatti la convivenza fra gli sposi fosse interrotta, il matrimonio stesso era considerato sciolto. In tre casi la convivenza poteva essere interrotta:
Se la moglie abbandonava il marito e non aveva più intenzione di tornare a vivere con lui.
Se il marito rimandava la propria moglie a casa sua, dai propri genitori.
Se il padre della moglie, o chi ne avesse l'autorità, avesse imposto alla moglie di separarsi dal proprio marito (tale interferenza era permessa solo secondo certi termini di legge).
In Grecia, l'uso di festeggiare fastosamente le nozze, oltre a essere una tradizione, era anche essenziale per attestare il consenso paterno al matrimonio della propria figlia, poiché lasciava presupporre che, prima dell'unione, vi era stato l'εγγυησις. Infatti, né ad Atene né nelle altre città greche vi erano uffici di stato civili che potessero certificare l'avvenuta istituzione dell'εγγυησις. In virtù di questa ragione, nel caso in cui il matrimonio non fosse stato sufficientemente reso noto, sarebbe potuto accadere che qualcuno ne mettesse in dubbio la legittimità.
Per Esiodo, il giorno più propizio per sposarsi era il quarto del mese; il mese in cui venivano celebrati la maggior parte dei matrimoni era gennaio, tant'è che ad Atene esso era chiamato mese delle nozze. Fra i rituali matrimoniali largamente in uso, seppure non propriamente obbligatori per la validità del matrimonio, c'erano: l'usanza dei padri di ciascun coniuge di notificare il matrimonio alla propria fratria; un bagno purificatore, fatto da entrambi gli sposi, in una fonte sacra (il Calliroe ad Atene, l'Ismeno a Tebe); il padre della sposa compiva dei sacrifici propiziatori alle due divinità maggiori, mentre la sposa bruciava la bile dell'animale sacrificato (ciò indicava la necessità di un matrimonio privo d'ira). Il giorno delle nozze si teneva un banchetto sia a casa dello sposo che a casa della sposa; successivamente, avveniva l'incontro fra gli sposi nella casa di lei. La sera, il marito conduceva a casa propria la sposa, mentre si formava un corteo condotto da un carro nuziale, trainato da muli e buoi; sul carro sedevano la sposa, affiancata dallo sposo e dal parente più stretto. Qualora però per lo sposo il matrimonio non fosse stato il primo, sedeva accanto alla sposa un suo rappresentante. Una volta arrivati a casa, la madre della sposa accompagnava la figlia nella camera da letto, dove poi la lasciava col proprio marito.




L'evento matrimoniale obbediva a particolari regole e rituali che non potevano in alcun modo essere disattesi. Il matrimonio in Grecia rappresentava l'attuazione di un triplice dovere nei confronti: · · · degli Dei, che dall'unione matrimoniale avrebbero tratto la garanzia di una moltitudine di fedeli disposti a venerarli; dello Stato, che poteva contare su numerosi cittadini pronti a difenderlo; della propria stirpe, della quale attraverso le nascite, ne assicurava la conservazione. Difficilmente, però, le nozze avvenivano tra persone che si erano liberamente scelte per reciproca attrazione sentimentale, ma erano anzi, di solito, frutto delle decisioni dei genitori adottate in base a criteri del tutto scevri da quello dell'amore (dote, interessi familiari ecc. ... ) Risultava, infatti, oltremodo difficile per i giovani riuscire ad intrattenere rapporti che potessero far sorgere solidi legami sentimentali in una società in cui la donna conduceva una vita ritirata tra le mura domestiche. Lo sposalizio era preceduto da una promessa solenne fatta normalmente dal padre o da chi ne facesse le veci, con la quale si stabiliva l'ammontare della dote che non diventava di proprietà del marito cui, invece, spettava il solo usufrutto. Il periodo ritenuto più opportuno per lo svolgimento delle nozze era la stagione invernale e, precisamente, quello corrispondente al nostro mese di gennaio che, in Grecia si identificava con Gamelione (da gàmos, cioè nozze). Il giorno delle nozze lo sposo e la sposa facevano il bagno in acqua attinta presso particolari fonti sacre, diverse a seconda del luogo di svolgimento del matrimonio. Dopo tale solenne cerimonia, seguiva un banchetto in casa della sposa in cui, però, le donne sedevano separate dagli uomini. Terminato il banchetto, sul far della sera, la sposa veniva condotta alla presenza dello sposo (entrambi cinti di corone di fiori e profumati con unguenti) per prendere posto su di un carro accanto a lui e ad un parente prossimo. Un gran numero di portatori di fiaccole precedeva e seguiva gli sposi. Il corteo tra inni, acclamazioni e canti dedicati agli Dei, accompagnato dal suono di flauti e cetre, si recava presso la casa dello sposo dove venivano offerte, in segno di buon augurio, diverse focacce di sesamo. La sposa quindi, sempre avvolta nel velo, veniva condotta nella camera da letto. Le donne greche, di ogni età, quelle rare volte in cui uscivano di casa, avevano il capo velato. Oltre a proteggere dalla polvere, il velo salvaguardava infatti la reputazione di chi lo indossava; esso era, cioè, segno di riservatezza, virtù che ogni donna perbene non poteva non possedere. Il velo, dunque, non era prerogativa esclusiva dell'abbigliamento della sposa, eppure giocava un ruolo di una certa rilevanza all'interno del rituale di nozze. Uno dei momenti del rito, infatti, ha il nome di anakalyptérion, lo svelamento. Ferecide di Siro, poeta vissuto nel IV sec. avanti Cristo, Racconta che, all'inizio dei tempi, il dio supremo Zeus si unì in matrimonio con Kthonia, la terra profonda. La festa di nozze durò tre giorni, al termine dei quali il dio, di fronte alla sua sposa, le sollevò il velo, sottile tessuto ricamato che egli stesso le aveva donato, e le rivolse queste parole: «Salute a te, vieni con me!». Per questo, aggiunge il poeta, «gli dei e gli uomini della terra conservano l'uso dell'anakalyptérion». E in effetti, lo svelamento fa parte del rituale diffuso in tutto il territorio greco, mentre non viene confermato da altre fonti che lo sposo pronunci contemporaneamente proprio la formula riportata da Ferecide. La sposa (nymphe) veniva velata nella casa paterna dalla nymphéutria, una donna dell'entourage della famiglia d'origine, preposta ad affiancare la giovane nel corso dell'intera cerimonia. In questa fase del rito, il velo sembra avere, come accade in altre culture, un valore apotropaico, proprio perché è il momento in cui la sposa si trova maggiormente esposta. O subito prima del corteo nuziale, oppure già nella casa del marito - non sappiamo con certezza ha luogo l'anakalyptérion. A svelare la giovane é, comunque, lo sposo, davanti a testimoni. Le fonti letterarie antiche suggeriscono che il suo significato sia quello di accogliere e insieme prendere possesso. In particolare, l'atto di sollevare il velo sancirebbe il possesso sul corpo della donna, attraverso la rappresentazione rituale, e perciò pubblica, di quanto poco più tardi avverrà nell'intimità del talamo. Dopo le nozze, di norma il giorno successivo, la sposa, non più velata, riceveva i doni dal marito, dai parenti e dagli amici.



L'amore nell'antica Grecia
Nella Grecia la donna vive tutta la vita sottoposta all'autorità di un padrone che normalmente é prima il padre e poi il marito: la donna libera non differisce dagli schiavi per quanto riguarda i diritti politici e giuridici. La sfera di influenza di cui gode é esclusivamente la casa: la donna sposata che gode della fiducia dello sposo governa la casa con autorità e per gli schiavi essa é la padrona. Ma ella é priva di diritti, dipende completamente dal marito, e la fiducia di cui gode può essere revocata in qualsiasi momento.
Caso a sé é Sparta, dove, per la preoccupazione di migliorare i geni dei futuri guerrieri, si incoraggiava l'educazione fisica delle ragazze al pari di quella dei ragazzi, per cui si potevano vedere giovani Lacedemoni con vesti corte e cosce nude. Comunque anche se le giovani Spartane erano agili e muscolose, la possibilità di una educazione intellettuale mancava a loro come alle ragazze di Atene. Venivano loro date solo poche nozioni pratiche sui lavori domestici più qualche elemento di lettura, di calcolo, talvolta di musica e di danza (famosi sono i cori di giovinette a Sparta). Queste gravi lacune nell'educazione delle ragazze spiegava la mancanza di comunione intellettuale tra moglie e marito, che era generalmente ben istruito.
A Sparta almeno giovani e ragazze si conoscevano di vista prima del matrimonio ed erano addirittura al corrente della loro autonomia, mentre ad Atene i futuri sposi potevano non essersi mai visti. In questa concezione di matrimonio le considerazioni economiche dominano ancora le idee morali. Nell'Atene classica, infatti, il padre cede la figlia al futuro sposo con un atto legale, confermato e accompagnato dall'assegnazione della dote, che garantisce la legittimità dell'unione e dei figli che ne saranno frutto. Si riteneva che, per contrarre un matrimonio conveniente, l'uomo dovesse sposare una ragazza del suo stesso ambiente, né inferiore né superiore: ciò a cui si dava risalto era la prosperità materiale della famiglia e, ovviamente, la fecondità della donna.
Stando così le cose é difficile immaginare che tra gli sposi ateniesi dell'età classica ci fosse una reale comunanza di spirito e di sentimenti, un affetto coniugale, ed erano scarsi lo scambio intellettuale e il vero amore tra gli sposi: le mogli legittime erano considerate unicamente come madri di famiglia e guardiane del focolare.

Il matrimonio
Il matrimonio rappresenta l'evento culminante della vita del tìaso; é infatti il principale obiettivo a cui le ragazze si sono preparate grazie all' educazione di Saffo. La cerimonia nuziale aveva luogo di sera, quando apparivano le prime stelle e durante la processione che accompagnava la sposa nella casa del novello sposo veniva cantato un inno nuziale, un imenéo e fino al mattino successivo venivano poi eseguiti altri canti. L'apparizione della stella della sera rappresenta l'inizio della cerimonia e uno dei temi ricorrenti é proprio l'invocazione a Espero: "Espero, tutto riporti quanto disperse la lucente Aurora: riporti la pecora, riporti la capra, ma non riporti la figlia alla madre."
Un esempio di cattiva salute del matrimonio ci viene dal libro XIV dell'Iliade intitolato Dios Apàte (inganno a Zeus). La dea, per distogliere dalla battaglia il marito e permettere così la vittoria greca lo seduce servendosi di tutte le armi di seduzione femminile e utilizzando una cintura magica, ottenuta anche qui con l'inganno da Afrodite. Era cerca di alimentare il desiderio di Zeus con gli strumenti propri della seduzione, ma il suo vero intimo desiderio é ostile a Zeus: nonostante nel culto essi siano congiuntamente i patroni del matrimonio, nel mito sono spesso in discordia e lottano tra loro per il predominio. Era non é una docile casalinga né una sposa innamorata e Zeus intrattiene legami sentimentali con altre donne. Tutti questi elementi forniscono un'importante testimonianza della situazione piuttosto critica dell'Eros nelle relazioni coniugali già al tempo di Omero.

Le occasioni amorose dell'uomo greco in età classica
"Abbiamo le etere per il piacere, le concubine per la soddisfazione quotidiana del corpo, le mogli per darci figli legittimi e per avere una custodia fedele della casa". così l'orazione pseudodemostenica Contro Neera, 122, definisce la varia configurazione dei rapporti erotici dell'Atene dell'età classica. Al vertice della considerazione sociale stava la sposa, con la quale l'uomo aveva contratto matrimonio. Lo scopo del matrimonio era la procreazione di figli legittimi, che potessero ereditare e mantenere il patrimonio di famiglia. Il marito poteva nutrire grande rispetto per la sposa in quanto madre dei suoi figli e organizzatrice dell'oìkos, la casa di famiglia, ma raramente nutriva un autentico sentimento di amore per una donna che non aveva scelto di persona e che poteva non avere mai visto prima del matrimonio.

La condizione della donna
In Atene la donna non gode di diritti politici né giuridici. La città é principalmente un mondo di uomini, e la vita del maschio adulto é suddivisa tra le due attività della guerra e della politica. In questa civiltà maschilista, la donna tuttavia é indispensabile per la procreazione di figli legittimi che assicurino la trasmissione dei beni di famiglia e la continuità della polis. Essa pertanto seppur in una condizione di minorità trova il suo ambiente ideale all'interno delle pareti domestiche, ove sovrintende da padrona alle faccende svolte dalla servitù, tanto più che il marito passa il suo tempo fuori anche per più giorni, intento nei lavori agricoli o nella partecipazione alla vita politica e giudiziaria. Rare parentesi di vita fuori casa sono per la donna le occasioni connesse con il culto.
Per la vita della donna libera ateniese, dunque, il matrimonio é l'evento più importante, quello che ne fissa definitivamente il ruolo civile, a meno che non intervenga una separazione o un ripudio. Nel primo caso la donna fa ritorno alla tutela della propria famiglia, nel secondo, qualora il ripudio sia dovuto all'adulterio, la donna é rovinata perché perde l'unico diritto civile che le é riconosciuto, quello di partecipare alle cerimonie pubbliche a lei riservate, rappresentando la famiglia con dignità matronale. Il matrimonio non ha una precisa istituzionalità giuridica, in quanto condivide gli aspetti di consuetudine che sono propri di tutto il diritto greco.
Essa si formalizza all'atto della eggùe, pegno o garanzia, cioé di un impegno verbale privato, assunto da due famiglie in presenza di testimoni, madiante il quale il padre consegna la ragazza allo sposo. La giovane diventa una sposa legittima dal giorno in cui inizia la coabitazione: questa può seguire immediatamente, ma può anche essere rinviata. E' significativo il caso della sorella di Demostene, che il padre aveva legato con una promessa di matrimonio poco prima di morire, quando la figlia aveva solo cinque anni. Si tratta di un caso estremo, ma utile a capire che il matrimonio era un contratto legato alla successione dei beni di famiglia, certo non era il frutto della libera scelta di due giovani.
Questa particolare fisionomia patrimoniale ne determinava la forza e, nel contempo, la debolezza: se si evitava un divorzio perché avrebbe comportato la rescissione del contratto patrimoniale e la restituzione della dote, il matrimonio, così concepito, doveva prevedere poca intimità e poco vero amore tra i coniugi. Ciò comportava necessariamente un deterioramento dei rapporti uomo-donna, che diede vita anche in campo letterario a una vasta produzione misogina.

I rapporti extraconiugali
Al matrimonio non mancavano altre occasioni per soddisfare tanto i suoi impulsi erotici quanto il bisogno d'affetto o di rapporti intellettuali. Sebbene nell'età classica fosse di regola la monogamia, talora entro le pareti domestiche poteva essere tollerata ed era legalmente tutelata la presenza di una concubina, pallakè. Questa costituiva in pratica un doppione della moglie legittima, dalla quale si differenziava principalmente perché la sua presenza non era garantita da alcun impegno formale, e pertanto poteva essere congedata quando il padrone lo riteneva.
D'altra parte si può ritenere che l'uomo greco, che teneva in casa una concubina, nutrisse per lei un rapporto affettivo o, quanto meno, sentisse una attrattiva materiale molto più intensi a confronto della moglie.
Figura completamente diversa è quella dell'etera. Il termine hetaìra, propriamente amica, compagna, viene spesso tradotto in italiano con cortigiana, ma è ben distinto dalla pòrne, la prostituta dietro compenso. L'etera solitamente una straniera o una schiava, è la figura di donna veramente libera: si mostra in pubblico, partecipa a banchetti con uomini, è spesso colta, esperta nella danza e nella musica e con queste arti intrattiene i commensali suonando il flauto o danzando. Se la bellezza e l'intelligenza dell'etera in assoluto più famosa, la milesia Aspasia per la quale Pericle aveva ripudiato la moglie legittima, sarà stata eccezionale, si può tuttavia ritenere che il fascino di queste donne derivasse in gran parte dalla loro bellezza e raffinatezza, forse più che dalla soddisfazione sessuale che potevano offrire, e che mostrarsi in pubblico con un'etera di gran classe fosse per l'uomo che poteva permettersi di mantenerla un simbolo di successo.
Più rischiosa la pratica dell'adulterio, che era considerato reato e disciplinato da una legge a noi nota attraverso l'orazione demostenica Contro Aristocrate 53: "Qualora uno uccida un uomo suo malgrado nei giochi o abbattendolo per strada o in guerra senza conoscerlo, o per averlo sorpreso presso la moglie o la madre o la sorella o la figlia o la concubina che mantenga per procreare figli legittimi, l'uccisore non sia soggetto ad accusa". L'impunità riconosciuta all'uccisore dell'adultero non è da attribuire, come si potesse pensare, a una sorta di giustificazione per causa d'onore o a una considerazione psicologica dello stato d'animo dell'uccisore. L'uccisione dell'adultero è infatti assimilata ad altre tre circostanze di reato non omogenee, la terza delle quali, l'uccisione del brigante, prevede il caso della legittima difesa.
Il fatto che la legge intenda come adulterio intrattenere rapporti non solo con una donna maritata, ma anche con una donna nubile o con una concubina, dimostra che il reato non lede l'interesse del marito alla fedeltà della sposa, ma l'interesse del gruppo familiare, dell'oìkos, che può essere inquinato dall'introduzione di figli bastardi. La soppressione dell'adultero è quindi una atto di legittima difesa, esercitato dal capo dell'oìkos a tutela di un bene di sua proprietà, non diverso da quello del padrone di casa che uccide il ladro sorpreso a rubare.
Questo spiega perché fare violenza a una donna fosse considerato un reato meno grave che sedurla: l'atto di violenza, ratto o stupro che fosse, si configurava dal punto di vista della parte lesa come una offesa che non implicava il consenso della donna e quindi non le alienava la fiducia del marito. Malgrado il rigore delle leggi non era raro che anche le donne ingannassero i loro mariti: l'orazione di Lisia Per Eufileto racconta con abbondanza di particolari piccanti come la moglie di Eufileto conobbe durante un funerale il seduttore Eratostene, che riuscì poi a raggiungere la donna grazie all'aiuto di una ancella e a goderne l'affetto finche, tradito da una amante gelosa che aveva lasciato, fu sorpreso dal marito in flagranza di reato e ucciso.

Repressione e inibizione
Da quanto si è detto parrebbe di dover concludere che l'uomo greco godesse della più ampia libertà sessuale. In realtà, il primo contrassegno di inibizione sessuale si incontra a livello linguistico: a partire da Omero, che pure, secondo gli statuti enciclopedici dell'epica, descrive meticolosamente ogni attività quotidiana, l'attività sessuale non trova descrizioni adeguate. Anche l'età classica si esprime all'insegna dell'eufemismo: "andare con qualcuno" è, come per noi, una perifrasi che indica il rapporto intimo; "sappiamo che cosa" è un modo per indicare gli organi genitali.
Si potrebbe pensare che il tabù linguistico dipenda dall'eleganza letteraria, ma l'atteggiamento dei filosofi esprime disprezzo per il sesso: soprattutto il cinismo, nella sua spasmodica ricerca dell'autosufficienza, vedeva nella masturbazione il modo più semplice per soddisfare il desiderio fisiologico. Socrate paragonava il desiderio di Crizia per Eutidemo al bisogno che prova un maiale setoloso di calmare il prurito sfregando il dorso contro una pietra. La castità era praticata sia per vincoli di ordine religioso sia per necessità inerenti alle pratiche guerriere, che rappresentano la più prestigiosa attività dell'uomo greco. In questo senso, l'autodisciplina del sesso, era assimilata alla capacità di sopportare la fame, la sete, il sonno, e rientrava tra le forme di privazione che venivano incoraggiate presso i giovani per temprare la resistenza fisica dei futuri soldati.

La sessualità
Un'idea precisa sul sesso e la sua concezione nell'antica Grecia lo si può avere della pitture vasali. Vi erano vasi a carattere religioso-devozionale, il più delle volte associati alla fertilità, altri erano a carattere apotropaico, altri ancora erano sicuramente intesi a stimolare sessualmente. Infine vi erano alcuni vasi di intento umoristico, nei quali l'artista dipingeva le sue fantasie, rappresentando soprattutto creature mitologiche nell'atto di compiere il rapporto sessuale in ogni modo possibile.
Nella prima categoria rientrano vasi che rappresentano il Matrimonio Sacro, ossia rapporti sessuali di uomini e animali; questi vasi venivano offerti a un tempio o a un santuario, con la supplica per la fertilità di una donna, un gregge o un campo. Il Matrimonio Sacro era un rito rurale collegato alla fertilità della terra e associato al culto di Dioniso.
Nella seconda categoria rientrano vasi e sculture che, attraverso la rappresentazione del fallo, erano intesi a scacciare il male: di conseguenza Atene era piena di erme, ossia colonne quadrangolari sormontate dalla testa di Ermes e con un fallo in erezione.
Infine, nell'ultima categoria rientrano vasi con rappresentazioni erotiche intese all'eccitazione sessuale, da non confondere con la pornografia, in quanto venivano usati nei simposi, Questi vasi nella maggior parte rappresentano uomini con donne, mentre sono pochi quelli con temi pederastici. Sono rappresentati tutti i modi e le posizioni possibili del coito: vaginale, anale, il contatto sulle cosce, la fellatio, il cunnilingus, l'onanismo, l'uso di strumenti di piacere, ménage a trois, sessantanove, sadismo, orge, bestialità ecc..
Vi è però una differenziazione tra le rappresentazioni erotiche del VI secolo e quelle del V e IV secolo a.C.; sino a verso la fine del VI secolo, le scene rappresentate, inizialmente su vasi a figure nere e più tardi a figure rosse, includono esclusivamente rapporti vaginali e anali, mentre sono assenti scene di sesso orale e orgiastico. Queste pratiche non erano quindi completamente accettabili. Scene di orge risalenti allo stesso periodo riguardano o Satiri con Satiri o Satiri con Menadi: questo sta a significare che un tale tipo di condotta non era appropriato per gli esseri umani. Più tardi verso la fine del VI secolo, in un periodo in cui i simposi erano diventati un costume radicato, scene di fellatio, cunnilingus e orge cominciano ad apparire per la prima volta sui kylikes, le coppe principali usate in quei banchetti.
Il fatto che questo genere di illustrazioni siano riconducibili ai simposi è deducibili da particolari quali le corone di fiori sul capo degli uomini, i flauti e le nacchere tenuti e suonati dalle etere, triclini ecc.. Questo probabilmente indica che tale condotta era accettata solo nel contesto dei simposi. Il cunnilingus era ritenuta comunque una pratica impropria (come si può dedurre anche da alcuni passi tratti dalle commedie di Aristofane- Pace, 884-5 e Vespe 1180-83-), in quanto era considerato sminuente per un uomo dare piacere a una donna senza trarne a propria volta. Nel caso della fellatio, in cui è la donna a dare piacere, l'uomo di fatto resta passivo, essendo la donna a svolgere la parte attiva, ed essere passivo era inaccettabile per un uomo.
Per bilanciare la passività dell'uomo, l'artista rappresenta sempre le donne inginocchiate, in una posizione di sottomissione, e con i tratti del viso alterati. E' interessante notare come la più diffusa posizione del missionario non si trovi raffigurata da nessuna parte, ma di solito si vedano donne piegate in avanti, inginocchiate, sdraiate sulla schiena con i piedi appoggiati sulle spalle dell'uomo: quest'ultima posizione ha il vantaggio di offrire una buona visuale dei genitali maschili, cosa che era nell'intenzione dell'artista. Le posizioni tradizionali non sono rappresentate in quanto non erano abbastanza esplicite e secondariamente l'artista non voleva rappresentare la donna in stato di sottomissione. Nei visi dei protagonisti è comunque assente un'espressione sentimentale, fatta accezione di una oinokè dove sono rappresentati un giovane uomo e un'etera della stessa età. Per qual che riguarda il coito anale, pare fosse socialmente accettabile, in quanto non risultano testi o illustrazioni di condanna.
Non vi era nessuna legge contro la bestialità, probabilmente per il fatto che non era praticata dai Greci: le sole scene del genere o erano associate a soggetti mitologici o riguardavano Satiri e Menadi. Tuttavia esisteva una legge contro lo stupro per proteggere le donne e i bambini, sia nati liberi sia schiavi. La pena consisteva in un'ammenda e il colpevole doveva pagarla due volte: una alla vittima e una allo stato. Lo stupro era un serio atto criminale e quindi l'ammenda doveva essere alta in proporzione: secondo una legge emanata da Solone, il violentatore doveva pagare cento dracme (Plutarco, Solone).

La prostituzione
Si può speculare che la prostituzione sia sempre stata praticata in Grecia sotto varie forme. Agli inizi del VI secolo a.C. finì il periodo della prostituzione incontrollata, quando il legislatore Solone istituì i primi bordelli di Atene, per facilitare gli adolescenti intraprendenti e evitare che commettessero adulterio con donne rispettabili. Si dice che Solone, con il denaro incassato da queste prime case chiuse, fece costruire il tempio dedicato ad Afrodite Pandemo, la dea patrona dell'amore a pagamento (Ataneo, 13, 569d).
In greco la parola prostituta é pòrne, e deriva del verbo pérnemi (vendere), ossia colei che é in vendita. Inizialmente la parola descriveva soltanto la professione e non aveva il significato dispregiativo che assunse successivamente. Le prostitute erano schiave o ex schiave liberate, ma potava trattarsi anche di meteci, ossia libere, ma straniere immigrate, o bambine abbandonate, oppure donne ateniesi cadute in rovina. Ad Atene, indurre una donna alla prostituzione era assolutamente proibito e punito da una legge istituita da Solone. Sappiamo da Plutarco che: "Se qualcuno funge da lenone, la pena é un'ammenda di venti dracme, a meno che non si tratti di quelle donne che manifestamente si danno a quanti le paghino. E comunque, nessuno deve vendere le proprie figlie o sorelle, a meno che non abbia sorpreso una ragazza non sposata a concedersi a un uomo" (Solone, 23). I lenoni erano uomini o donne delle più basse condizioni sociali che sfruttavano una o più prostitute; il lenocinio, se denunciato e provato, poteva risultare anche nella pena di morte del IV secolo a.C.: "La legge sancisce che i lenoni, donne o uomini, debbano essere denunciati, e quelli tra loro trovati colpevoli, essere condannati a morte" (Eschine).
Le prostitute entravano in varie categorie, a seconda dei luoghi che frequentavano e dove esercitavano le professione: perciò, c'erano le chamaitypaì, la categoria più antica, così chiamate perché lavoravano all'aperto, sdraiate; le perepatétikes (passeggiatrici), che trovavano i clienti passeggiando e poi li portavano nelle loro case; le gephyrides, che lavoravano nelle vicinanze dei ponti; altre ancora frequentavano i bagni pubblici e infine c'erano quelle che lavoravano negli oikìskoi (piccole case, bordelli).
Poco a poco il numero dei postiboli aumentò e a quanto ci dice Ateneo, nessuna città aveva tante prostitute quanto Atene, fatta eccezione di Corinto, dove veniva praticata la Prostituzione Sacra. La tariffa per una visita a un postibolo nel V secolo era di solito di un obole (sei oboles corrispondevano a una dracma), come ci informa lo storico Ateneo (13, 568-9), ma le ragazze potevano essere pagate anche in natura. Il costo corrispondeva al guadagno giornaliero di un operaio manuale senza alcuna specializzazione.
Numerose sono le illustrazioni che rappresentano scene dalle case di piacere ma la stragrande maggioranza ritrae l'ammissione di clienti, la trattativa con la donna, il pagamento e molto raramente l'atto sessuale in sé. Probabilmente le uniche illustrazioni di coito in un postibolo, e che si possono certamente identificare con quello, sono su una copertura di uno specchio del IV secolo a.C.. Nella parte interna ed esterna sono raffigurate due coppie che fanno l'amore. Ciò che distingue il luogo dove si svolge l'atto sessuale, sono i letti: entrambi hanno coperte e cuscini; i triclini dei simposi non avevano né l'uno né l'altro.

L'omosessualità
Dai Greci dell'età classica era considerato vergognoso il rapporto omosessuale tra adulti; non destava invece nessuno stupore che un uomo si sentisse sessualmente attratto da un bel ragazzo imberbe e che intrattenesse con lui rapporti erotici. Non si trattava però di una vera e propria omosessualità, nel senso che l'amore omosessuale coesisteva con le pratiche eterosessuali e probabilmente, in qualche misura, anche le influenzava: la pittura vascolare a alcuni epigrammi ellenistici mostrano casi di sodomia eterosessuale. D'altra parte, il ragazzo, una volta adulto prendeva regolarmente moglie e a sua volta amava donne e ragazzi.
Le ragioni di questa sorta di polivalenza sessuale sono da ricercare sia nella segregazione dei sessi nell'adolescenza, che avrà contribuito ad instaurare pratiche destinate a mantenersi in età adulta, sia, soprattutto, nel fatto che il rapporto tra gli uomini era l'unico che prevedesse un partner di pari livello, scelto liberamente e conquistato dopo un regolare corteggiamento: una soluzione all'insegna del disinteresse delle parti, che certo non aveva luogo né con la sposa legittima, frutto di un accordo familiare né con etere e prostitute, che erano per lo più straniere o schiave prezzolate, e forse nemmeno con la concubina, che pure beneficiava di integrazione familiare.
Non mancano gli esempi nella letteratura come nel mito: la poetessa Saffo canta il suo amore per le ragazze del circolo del tiaso, il lirico Teognide dedica interi componimenti alla formazione morale del suo giovane amante Cirno, Zeus per avere il bel Ganimede sempre accanto a lui lo porta sull'Olimpo donandogli l'immortalità. L'amore omosessuale é stato dunque uno spunto fondamentale per la produzione letteraria dall'epoca arcaica all'età classica e assumeva un ruolo basilare e quasi istituzionale nella formazione intellettuale dei giovani preparandoli ad affrontare i diversi aspetti della vita da adulti.

L'omosessualità maschile
E' opinione comune che nella Grecia antica l'omosessualità, da intendersi come rapporto tra due soggetti adulti dello stesso sesso, fosse una pratica diffusa. In realtà, la relazione sessuale tra due adulti non era ammessa, e non si trattava di semplici legami sessuali, ma di relazioni pederastiche. In epoca classica, quando la filosofia, la poesia, la musica e l'atletica sono in continua evoluzione, gli uomini diventano sempre più raffinati, sia fisicamente sia mentalmente, mentre le donne rimangono escluse da tutto questo. Il risultato fu che gli uomini non avevano argomenti di discussioni con le proprie mogli, le quali, essendo sempre confinate all'interno delle mura domestiche, non potevano sviluppare alcun interesse spirituale o avere cura del proprio corpo, in quanto non avevano accesso all'atletica. Perciò i Greci, che erano sempre stati amanti della bellezza, non ebbero altra scelta che rivolgersi all'armonia del corpo maschile, ben allenato, ed al suo colto spirito. Le due cose andavano insieme, come attesta la massima: "sano nel corpo, sano nella mente". Il corpo veniva allenato nelle palestre, e la mente nelle scuole, che fornivano una preparazione culturale rudimentale, come insegnare a leggere ed a scrivere, l'aritmetica e la musica. Al giovane mancava dunque l'insegnamento dei meccanismi della vita sociale, le funzioni dello stato, la virtù, il senso morale, ma anche una preparazione alle insidie e ai pericoli della vita.

L'omosessualità femminile e il circolo di Saffo
L'omosessualità femminile nell'antica Grecia aveva una funzione pedagogica analoga a quella maschile e rappresentava per l'adolescente una fase di passaggio dall'età infantile al mondo degli adulti, durante la quale la giovane veniva educata e preparata al matrimonio e ad una delle funzioni essenziali per i greci: la procreazione.
Intorno al VII sec. a.C. in Grecia fiorirono delle comunità femminili nelle quali le relazioni omoerotiche avevano il valore di rito d'iniziazione sessuale analogo a quello della pederastia. Di rilevante importanza fu il circolo di Saffo, che rappresenta il principale modello di questa pseudo-omosessualità. L'attività della poetessa a Mitilene assolveva una ben precisa funzione sociale: Saffo educava fanciulle nobili nella ristretta cerchia del tìaso, una sorta di associazione femminile in cui le ragazze entravano a farne parte prima del matrimonio e dove trascorrevano un periodo d'istruzione e preparazione alle nozze; poi, una volta sposate, si separavano dal gruppo.
L'esperienza amorosa
L'aspetto predominante della poesia di Saffo é l'amore per le ragazze della sua cerchia, che aveva un ruolo fondamentale nel processo educativo delle adolescenti e rappresentava la preparazione alla sessualità della fase adulta. L'amore che Saffo provava verso le ragazze era un sentimento sincero, totalizzante e appassionato, che é strettamente legato al culto di Afrodite, come appare nell'Ode ad Afrodite, che apre il primo libro dell'opera di Saffo e costituisce un'accorata invocazione alla dea perché venga in aiuto della poetessa che soffre per un amore non ricambiato.
Di rilevante importanza sono la concezione dell'amore come una forza di origine divina, che trascende la volontà dei mortali e alla quale non é lecito sottrarsi e lo svilupparsi di quest'ode sotto forma di preghiera. Riversando un'esperienza personale in un'ode che veniva cantata tra le fanciulle del tìaso riunite davanti alla statua della dea, Saffo trasforma l'esperienza individuale in collettiva e il suo intento é paradigmatico in quanto attraverso le parole di Afrodite vuole definire le "regole" dell'amore proponendo dei precisi modelli di comportamento. Saffo in questo modo vuole sanzionare il proprio ruolo e la sacralità dei rapporti che stabiliva con le ragazze della comunità.
La poetessa concepisce l'eros come una forza molto possente, un'esperienza psicologica sconvolgente, dolorosa e capace di porre una persona in conflitto con se stessa; Saffo presenta molteplici immagini efficaci per esprimere l'effetto dell'amore sulla persona che ne fa esperienza, come nel frammento 47 Voigt, nel quale viene espressa l'idea dell'eros come una pulsione che investe l'anima dall'esterno: "Squassa Eros l'animo mio, come il vento sui monti che investe le querce." (trad. F. Sisti). Talvolta designa eros come una mescolanza di piacere e tormento, in quanto é in grado di recare gioia e serenità.
La dimensione della memoria assume un'importanza tutta speciale nella poesia saffica riveste la tematica della memoria. Ciò é spiegato dal fatto che l'esperienza di una ragazza nel tìaso era temporanea, destinata a concludersi col ritorno alla casa paterna o con il matrimonio: per questo si spiega l'esigenza di trovare, proprio nel ricordo, una forma di continuità capace di annullare in qualche modo gli effetti dell'inevitabile separazione.

Le divinità - Eros e Afrodite
Eros e Afrodite possono essere utilizzati in modo intercambiabile in rapporto alla sessualità, al desiderio sessuale e al piacere, sia singolarmente che in coppia. Tuttavia Eros si riferisce più specificatamente all'istinto del desiderio amoroso, mentre Afrodite é implicata nell'intero campo di azioni comprese tra l'esercizio del fascino sessuale e la concreta nascita dell'atto sessuale.
Alcuni sostengono che Eros, uscito dall'uovo cosmico, fu il primo degli dei, poiché senza di lui nessuna delle altre divinità sarebbe potuta nascere. Così si sostiene che fosse coevo della Madre Terra e del Tartaro, e si nega che egli potesse avere un padre e una madre. Una altra tradizione dice che egli nacque da Afrodite e da Ermete o da Ares o da Zeus stesso. Eros era un fanciullo ribelle, che non rispettava né la condizione né l'età altrui, ma svolazzava con le sue ali d'oro scoccando frecce a caso e infiammando i cuori con i suoi temibili dardi.
Come la cultura greca ribadisce più volte, Eros é un'emozione, una immagine, una figura, una idea, una forza sovrannaturale che ha effetto sia sul corpo sia sulla mente: obnubila l'intelletto, causa il rilassamento delle membra (Saffo); nessuno é immune dall'influsso erotico, né animali né uomini, né mortali né immortali, e il suo impero, al pari di quello di Afrodite, si esercita sul cosmo intero: terra, mare, cielo, ed é la celebrazione della vita istintuale intera quale commistione di piaceri e pericoli. Eros era venerato come dio del desiderio e in quanto tale vi erano una serie di culti a lui dedicati.
Molti templi gli furono consacrati, per lui si svolgevano feste con agoni musicali e ginnici e concorsi dedicati alle Muse. Anche le etere svolgevano un ruolo importante nella celebrazione del dio, infatti nel santuario di Afrodite a Corinto si era immessa la pratica concreta dell'amore nella sfera religiosa e questo costume dissocia la prostituzione dal rapporto commerciale e innalza l'unione sessuale ad atto di culto. Il culto di Eros si trova anche nel cuore di Atene: non solo vi era un altare di Eros all'entrata dell'Accademia, ma anche il santuario dedicato ad Afrodite ed Eros, situato alle pendici settentrionali dell'acropoli.
Afrodite emerse nuda dalla spuma delle onde del mare fecondata dai genitali di Urano, che Crono aveva gettato in mare per impossessarsi del potere. Inoltre sembrerebbe essere la stessa dea dall'immenso potere che nacque dal Caos e danzò sul mare, la dea insomma che era venerata in Siria e in Palestina come Ishtar. Il centro più famoso del suo culto era Pafo dove, tra le rovine di un grandioso tempio romano, si vede ancora la bianca primitiva immagine aniconica della dea. La dea fondava il suo potere non solo sulla incredibile bellezza e sul fascino, ma era anche stata dotata da Zeus, padre adottivo, di una cintura magica che la rendeva irresistibile per gli occhi di chiunque, dei e mortali. Non c'é da stupirsi dunque se veniva ritenuta la più potente di tutti gli immortali, proprio perché il suo potere era il più divino, al quale tutti dovevano soggiacere e al quale nessuno poteva opporre resistenza. Gli Elleni cercarono anche di svilire la Grande Dea del Mediterraneo, che per molto tempo aveva avuto il potere supremo a Corinto, Sparta, Tespie e Atene, condannando le sue solenni orge sessuali come se fossero sregolatezze adulterine.

L'amore nell'epica
Spesso nella produzione epica arcaica, della quale i primi esempi possono essere considerati i poemi omerici, il motore delle vicende che agisce indistintamente su mortali e dei é il sentimento amoroso, manifesto in tutte le sue forme, e concepito dalla mentalità eroica come un impulso incontrastabile che muove l'uomo contro la razionalità della morale comune. Questa convenzione avrà fortuna anche in età classica e influenzerà la produzione letteraria successiva. E le vicende narrate da Omero e da altri epici Apollodoro ricalcano schemi provenienti dalla mentalità micenea, giunta a loro tramite l'instancabile opera degli aedi che componevano e tramandavano versi ispirati ad avvenimenti reali, come appunto la guerra di Troia.

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